MATA – ARCHIPEL{o}GOS (2019, OnlyFuckingNoise)

I più attenti ad un certo sottosuolo musicale italiano, ricorderanno sicuramente un nome tanto particolare quanto interessante come Nevroshockingiochi. Ecco, i Mata sono praticamente l’evoluzione/distruzione del precedente progetto. Il disco, Archipel{o}gos è composto da otto tracce e vede la luce il 4 Ottobre per OnlyFuckingNoise. E forse, stavolta più di tutte le altre volte, “only fucking noise” è ben più di una semplice casa di produzione, ma una perfetta descrizione per il disco in questione.

I quaranta minuti dell’album prendono il via con Message no.11: elettronica ripetitiva e martellante; poche parole che sembrano più dei suoni aggiuntivi allo strumentale che vere e proprie frasi. Un ritorno al primitivo, al tribale, ma in una forma nuova, moderna. Si sentono, manco tanto lontani, echi di nuovi edifici che crollano. E ancora ripetizioni a martello anche nella successiva M&D, l’episodio che più mi è piaciuto del disco: tra le righe si sente urlare Alec Empire degli Atari Teenage Riot, così come nella successiva Underwater si sentono vicinissimi gli Einstürzende Neubauten di “Z.N.S.”. Ma come se questi venissero suonati da un dispositivo con innumerevoli e incalcolabili problemi di riproduzione. È come essere al centro di un rave che nel mentre viene non bombardato ma smantellato a colpi di martelli che definire enormi sarebbe dannatamente riduttivo. Inoltrandosi nell’ascolto sembra di doversi divincolare tra cavi d’acciaio che ti stringono alle caviglie mentre vengono colpiti blocchi e blocchi di metalli iperpesanti.

C’è tutta la libertà di un disco concepito d’istinto, di getto. Senza programmare troppo le idee, lasciandole libere di scivolare fuori, senza troppi orpelli inutili e – soprattutto – senza seguire né questa né quella moda del momento. Altrimenti un brano come A Multitude stracolmo di inceppamenti pneumatici, vocali e precussionistici non sarebbe mai nato. Oppure, ancora, non sarebbe mai arrivata alle nostre orecchie una colata di acciaio come The Block che alle sonorità ascoltate finora addiziona glitch ed altri tremolii epilettici. È come sputare parole al vento attraverso le pale di un elicottero: una sorta di tritato di vocalizzi che ricade sul tappeto sonoro che intanto striscia, si fa strada, spinge, si allarga e prende sempre più piede.

Non è un lavoro di facile ascolto, ma non è nemmeno un lavoro banale. Anzi: c’è ricerca, fatta da persone che non sono musicisti improvvisati. Adattissimo ai fan dei gruppi citati in precedenza, ma anche a chi vuole sbanalizzare la propria cultura musicale.

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