EARTHSET – L’UOMO MECCANICO (2020, Dischi Bervisti, Koe Records)


L’Uomo Meccanico” è il primo film di fantascienza/horror prodotto in Italia ad oggi disponibile e la proposta degli Earthset, quartetto a proprio agio nell’ambito post, consiste nel cucire addosso a questo film l’abito musicale esemplare. Muovendosi in territori post-rock, la sonorizzazione viene trasformata, rendendo gli otto capitoli non come otto episodi indipendenti, ma come un unico blocco sonoro in cui si procede aprendo bene le orecchie e chiudendo serratamente gli occhi, per lasciare spazio alla propria immaginazione.

Non conoscendo il film mi affido totalmente ai suoni che emergono dai quarantatré minuti di durata: il disco comincia a muovere i primi passi tra movimenti minimalistici, quasi come un risveglio, all’inizio di una giornata qualsiasi, come commento sonoro alle azioni meccaniche del primo mattino. La presentazione – prima del protagonista – dell’ambiente circostante e di tutta una serie di sensazioni (Cap. I – Preludio). Si passa poi alle prime attività ben riconoscibili: si sentono passi, si stiracchiano le ossa e i muscoli, ma si pensa anche ad accendere un fuoco per riscaldarsi. Ci si anima, anche musicalmente: lasciando fuoriuscire tutta la rabbia tipica del post-rock, con chitarre distorte che fanno bene il proprio lavoro, decorate da dettagli vocali da non sottovalutare (Cap. II – Il Fuoco).

Uno strumentale schizofrenico e vario mostra l’equilibrismo tra diversi stati d’animo (Cap. III – L’Inganno): dal vivere quieti al realizzare di essere vittima di un inganno, il passo è breve. E quindi si abbandona il post-rock basso e quasi dreamy a favore di puro e semplice rumorismo sibilante che poi ritorna sui passi – solo nel successivo Cap. IV La Festa – ricordando un po’ i compagni di genere Zugabe o anche gli Augure, organizzando una festa a base di riff ripetuti e chitarre pulite. Dettagli che, senza perdere tempo, degenereranno in distruzione e grandi distorsioni (Cap. V – L’Uomo Meccanico) nell’episodio più pesante, dalla breve durata, che non avrà paura di sconfinare in schizofrenie addirittura-math (Cap. VI – La Fuga) incrociate e distorte in maniera perfetta.

C’è spazio anche per un dancefloor sghembo e graffiato (Cap. VII – Il Ballo), fatto di riff spigolosi e gente che si sbatte, si mischia, in maniera così violenta che finire in uno scontro (Cap. VIII – Lo Scontro, appunto) a base di distorsioni giganti e ritmi accellerati, sembra il minimo.

Ho sempre pensato e sempre detto che il post-rock deve avere il potere di evocare, senza dire una semplice parola, immagini nitidissime. Questo disco degli Earthset riesce a farlo bene: fa vedere il film anche con gli occhi chiusi, o – meglio ancora – mette in condizione di riscriversi la propria versione, fornendo una colonna sonora adatta a tutte le occasioni.

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