PROGETTO PANICO – UNIVERSO N.6 (2018, Phonarchia Dischi, Dreamingorilla)

Ai Progetto Panico piace bluffare. Ma più che bluffare, piace confondere le idee di chi li ascolta. Chi li conosce da anni (per esempio dal loro primo disco “Maciste in paranoia”) può dirvi che è sempre stato così, che i Progetto Panico sono quel tipo di persone che per gentilezza ti lasciano passare e poi ti mettono la sgambetto quando meno te l’aspetti; quel tipo di persone che in un disco pop il pop quasi non ce lo mettono.

Lasciamo perdere per un attimo il passato, e concentriamoci su questo Universo n.6, quarto lavoro del gruppo umbro. Con Caos Dance sembra quasi vogliano darsi una definizione, ma è tutto uno scherzo: ciò che ci si presenta alle orecchie – infatti – è quanto di più lontano si possa aspettare e di più distante dalla dance. Siamo su cose psichedeliche, acustiche, con qualche nota di elettronica che fa tanto indie pop. Si sente decisa la mano di Alessandro Fiori alla produzione.
Io per un attimo mi sono chiesto dove fosse finita la vena punk che ha sempre contraddistinto il loro suono, e la risposta arriva dopo poco: Quando ero piccolo è un brano di manco tre minuti, politicamente scorretto, dannatamente scorretto, che racconta di infanzie disastrate ma da non rimpiangere affatto, dove risiedono centinaia di ascolti dei vecchi Zen Circus (diciamo tipo quelli di “vecchi senza esperienza” o “vent’anni”) e dei Prozac+.
Ma ricordate sempre che il Progetto Panico è qui per spiazzarvi, e quindi che fare? Come non mettere una canzone dolcissima come Spettacolare dopo quella più sporca e infame? Un brano pop, romantico, dedicato a persone care. Incastonato con maestria tra i due pezzi meno romantici di questo disco. E quando riesci a far piacere una canzone d’amore a chi le canzoni d’amore proprio non le sopporta, significa che qualcosa nella tua scrittura, sfiora la perfezione.
Ennesima cosa che non ti aspetti: Cattiva Matilde, l’incrocio dove i Prozac+ di prima si scontrano con Ivan Graziani. L’infanzia di prima diventa adolescenza disagiata, contornata da un acustico che non disturba affatto, in uno dei punti più alti del disco.
A metà disco si scivola – ritornando con alcune cose al passato del gruppo – in una sorta di beat, che ti fa sentire tutto il retrogusto garage di queste sonorità. Te lo fa sentire con Vivo per caso, ma soprattutto con Smile, l’anthem dello sticazzi ai social, che alla fine ciò che realmente importa è concentrarsi sui piccoli piaceri della vita, fottendosene di like e di condivisioni.
Non cambi mai
 continua il discorso della quarta traccia, in cui alcune cose richiamano la psichedelia (che sia pop o meno) del produttore Fiori, sia delle sue cose da solista che qualcosa più particolare, dei Mariposa più leggeri.
La frenata dell’ultimo paio di brani viene “distrutta” dalle psichedelie e dai distorsionismi (attenzione: non distorsioni) di Wolfango, una svolta improvvisa che arrivati a questo punto dell’album – quasi alla fine – manco ti aspetti.
Ti aspetti di più qualcosa come la conclusiva Spermatozoi in cui le acusticità finali, sono quelle che ti accompagnano, tenendoti per mano, fuori dall’universo parallelo creato dai Progetto Panico per spiegarci la loro visione del mondo, arrivati a questo punto della loro vita.

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