FEAT. ESSERELÀ – DISCO DOORO (2019, Lizard Records / Joe Frassino Records)


Diciamolo subito, il Disco Dooro dei Feat. Esserelà non è un album serio. Ma non parliamo di serietà come musicisti, eh, che come musicisti siamo davanti a suonatori di tutto rispetto. L’album esce per Lizard Records e già questa è una garanzia, in questo genere. Parliamo piuttosto del prendersi poco sul serio, ecco, questo sì.

Ve ne accorgerete già dalla prima traccia. Infatti è proprio qui che lo scherzo del gruppo prende il via: Lauto Grill è la sigla d’apertura del disco, un gruppo normale l’avrebbe chiamato intro e invece no. Lauto Grill è una miscela di scemità progressive (senza offesa), vocoder, i Neri Per Caso e Alex Baroni che s’incontrano per registrare il jingle promozionale per un disco prog. Però già nella successiva Kajitemeco ci troviamo davanti ad un brano che è una scheggia progressive, un casino ben controllato di tastiere e chitarrismi tra il funk e l’inciampante incedere pieno di stop’n’go. Un brano diviso ipoteticamente in due parti: la prima, appena descritta, e la seconda che annulla tutto il prog messo su fino a quel punto e scivola in una sorta di elettronica ipnotica e ripetitiva, con cassa dritta ma sempre funkeggiante (qualcosa ricorda i Tubax, qualcos’altro “Super Mario ed è subito un omaggio a Kōji Kondō).

Servi Della Klepa (e qui vai a sapere se è un semplice richiamo oppure un omaggio agli Elio e Le Storie Tese) è un brano “classicheggiante” dove il piano la fa da padrone, anche quando gli altri strumenti entrano in campo cercando di prendere piede; cosa che riusciranno a fare solo a metà brano, quando sotterreranno il piano sotto una violenta degenerazione funky-casinistica.

La doppietta Sahara… e …svegliati è primavehera vi farà tirare un respiro di sollievo. Il mondo ha bisogno di un po’ di sana scemenza, ammettiamolo, meglio ancora se suonata benissimo. Sahara… riassume bene (sia per la musica, sia per il titolo) ciò che più mi è piaciuto del gruppo: il non prendersi sul serio – come detto prima – pur non essendo un gruppettino qualunque. E le cose miglioreranno ancora di più nell’episodio seguente – …svegliati è primavehera – dove si toccheranno livelli altissimi, in cui tutti gli strumenti si incastreranno alla perfezione (in alcuni momenti mi è addirittura arrivata alle orecchie la musica del supergruppo che accompagnava Pino Daniele nei suoi anni migliori).

È a questo punto dell’album che incontreremo il personaggio di Lodovico Svarchi, intestatario di un brano che crede di essere tre pezzi diversi: La nascita di Lodovico Svarchi è un divertissement di pochi secondi (ventiquattro per l’esattezza) che ricorda una versione alleggerita di “Super Mario Blast” dei Germanotta Youth e che non è nient’altro che un intro per la successiva Lodovico Svarchi, appunto.

L’ostacolo più grande per una persona non abituata al rock progressivo, in questo disco, sarà sicuramente la – a volte eccessiva – lunghezza dei brani: non tutti potrebbero reggere pochissimo meno di 9 minuti di prog intenso, per quanto affascinante e ben suonato possa essere. E vi dirò di più: a volte sembra addirittura che il gruppo si diverta a mettere in difficoltà l’ascoltatore; sembra quasi che la band voglia rimanere rifugiata all’interno della propria nicchia e restare un progetto per pochi (penso a Popoloto); Esserelà e nonspostarsi, rimanere concentrati a studiare il modo migliore, forse anche il più assurdo, per battere un improbabile primato (prendete d’esempio La fine di Lodovico Svarchi che non è nemmeno il titolo originale, quello lo trovate a fine articolo o su bandcamp). Però, fate un pieno di coraggio e affrontate le vostre paure: vi ritroverete davanti a momenti davvero degni di nota in questo tre-pezzi-in-uno.

Continuando, […]aio è una vera e propria opera d’arte: un brano che mischia funk spaziale e prog à la Premiata Forneria Marconi, dove tutti gli strumenti impazziscono e si mischiano in un’ammucchiata sonora che delizierà a fondo le orecchie di chi ascolta. Mentre Intro (by Intronyo), traccia conclusiva, è un finale che ti prende in giro: perché finisce prima di quanto t’aspetti; perché è come il pullman di una gita turistica che – mentre tutti reclamano per fermarsi all’autogrill (o lauto grill, fate voi) per andare in bagno – si fa tutta la corsia di decelerazione piano piano e poi alla fine rientra in carreggiata a tutta velocità, accelerando per lasciarvi lì, a metà tra il divertito e l’incazzato.

Ultima cosa da aggiungere: menzione d’onore a Vanni Venturini per le illustrazioni del disco, davvero eccezionali!

Il vero titolo della nona traccia è

La fine di Lodovico Svarchi: probabilmente il brano più corto che sia mai stato inciso e con il titolo più lungo e, se anche risultasse non essere così, sarebbe certamente il pezzo il cui rapporto DB/LT tende più a 0, dove DB è la durata effettiva del brano espressa in secondi, in questo caso pari a 1,17 (anche se lo standard di scrittura di un CD impone un minimo di 4 secondi, che è quello che si leggerà quando Disco Dooro sarà inserito in un lettore CD con display ottico) mentre LT è la lunghezza del titolo considerando il numero di caratteri utilizzati, in questo caso pari a 888, nonché brano che rappresenta la naturale conclusione del pezzo che precede quello che avete appena sentito, a meno che non stiate usando una modalità di riproduzione casuale dei brani del disco, nel qual caso potreste anche essere stati fortunati e aver sentito i due spezzoni fra di loro accostati.
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