Nicola Mazzocca – Mellifera (2021, Lepers Produtcions)


Esistono musicisti capaci di portare in giro l’ascoltatore senza spostarlo – fisicamente – di un solo centimetro e questa, soprattutto in tempo di restrizioni e chiusure forzate, è una grande cosa.

Pensare ad un artista che, solo con le sue idee e la sua musica, riesce a trasportare lontanissimo chi decide di posare le orecchie sulla proposta del dato musicista è già di per sè un’esperienza piena di fascino. Chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, ma anche nutrire, come api sui fiori, dalle immagini suggerite dalle note e dalle composizioni: questo è ciò che Nicola Mazzocca – musicista attivo da decenni, anche nei Klippa Kloppa – riesce a fare con il suo “Mellifera“. Un viaggio breve in universi paralleli, rinchiusi nella testa dell’artefice-creatore, che riescono a stupire molto più di luoghi realmente esistenti.

Fuori per Lepers Produtcions, che come al suo solito offre il disco anche con la formula Name Your Price su bandcamp, questo nuovo lavoro del musicista casertano presenta la stessa libertà che appartiene a tante one-man-band dei paesi asiatici, la stessa voglia di scrivere un brano – forse anche “semplicissimo”, addirittura “orecchiabile” – per poi stravolgerlo il più possibile: come un pittore che prima dipinge un capolavoro e poi distrugge la tela a colpi di martellate o pennellate d’acido.

Ogni singolo brano si presenta come un piccolo viaggio (o una seduta di psicoanalisi), da intraprendere per conoscere al meglio tutto il background, tutte le visioni e le idee di chi ha scritto e suonato i brani: già l’iniziale Naturally a girl, naturally a woman comincia a scuotere coi movimenti ondulatori di basso e batteria mentre la chitarra impazzisce e si inacidisce in maniera nervosa. Il cammino di una figura femminile che dura una vita e che è un continuo altalenare di sentimenti anche contrastanti: dall’irrequietezza di un’adolescenza prog alla calma, alla pace dei sensi, in salsa tribale (con una batteria, stupenda, che arriva vicinissima all’IRA di Iosonouncane), passando per field recordings, ambient e rumorismo incontrollato.

L’agitazione sarà sempre presente, pur alternandola e interrompendola bruscamente, anche nella successiva Jerry Learns His Manners / Lost World: pericolosamente sospesa tra lounge e jungle, dannatamente sporcata da suggerimenti funk, sposterà il bencapitato ascoltatore da enormi e caotiche metropoli a visionari mondi perduti, da spiagge deserte a mercati affollatissimi. Un brano che lascia il retrogusto di polverose discoteche anni ’80, caldissime visioni desertiche e deliri progressive già intravisti nel brano precedente, ma che qui vengono sviluppati in maniera più che convincente.

Ma non c’è linearità nel lavoro di Mazzocca, e non c’è pace: perché se in ogni brano si nascondono sempre, almeno, una manciata di microcosmi diversi tra loro, tra un brano e l’altro le differenze saranno nettissime. Soprattutto quando in un episodio come Cities (How They Grow), totalmente staccata e diversa dalle due tracce precedenti, si perde il controllo tra impazzimenti e rumori psicopatici. Dove, in compagnia di Stefano Costanzo, si esplora un mondo di chitarre distrutte e batterie irrequiete, di minimalismi psicopatici alternati a growl esplosivi. E non si trova pace nemmeno nella successiva The Child Molester, dove corde intrecciate e percussioni inquiete si immergono in atmosfere dreamy, circondati da una distesa immensa di computer in schermata blu mare: un gioco che nasconde sensazioni tutt’altro che giocose, tra urla glitch-ate ed ossessioni dream-punk.

Una Vita Al Secondo, traccia numero 5, potrebbe essere il riassunto perfetto per la proposta di chi ha scritto l’album: far vivere a chi affronta il disco, un continuo cambio di vite, offrendo una miriade estremamente variegata di esperienze diverse: qui psichedelia-dreamy e richiami eighties si mischiano e degenerano in ciò che ricorda di più i progetti asiatici di cui parlavo all’inizio dell’articolo. E, di ritorno dall’Asia più iperattiva e tecnica, perché non approfittarne per fare una capatina in un jazz-club fumoso? Minnie, messa in opera con l’aiuto della chitarra di Mariano Calazzo, è un divertimento jazz senza pace ma che se ne frega totalmente di tutto, e rimbalza – giocoso – tutt’intorno.

Arrivando alla conclusiva title-track, Mellifera, trovano posto orchestrazioni da classica moderna (sonorità vicine ai brani in solo di Marco Rauchbombe Cesarini, per restare in Italia, o che so, di un Kashiwa Daisuke, tanto per volare in un posto già citato come l’Asia) in cui i disturbi piacevoli di una personalità multipla e di una mentalità estremamente aperta trovano un rifugio più che comodo.

Forse non sarà un disco facile per molti, ma ciò che colpisce e affascina è proprio questo: provate ad avventurarvi, di tanto in tanto, in percorsi che non vi appartengono, potreste scoprire un lato di voi di cui ancora non siete a conoscenza, rimanendone piacevolmente sorpresi. Mellifera vi chiede di avere coraggio e vi offre l’occasione perfetta per allontanarvi da ciò che ascoltate ogni giorno.

bandcamp » youtube
Etichetta: Lepers Produtcions


» contenuto in

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *