TYM FROST – TOOT (2021, Casetta)


Di solito gli album che si rifanno all’ambient e al minimalismo mi suggeriscono, sempre troppo facilmente, l’idea di un viaggio, di un percorso. Nel caso di “Toot” a firma Tym Frost, fuori per Casetta nel corso di questo 2021, questa dimensione viene posta in una sorta di posizione orizzontale: l’idea del viaggio rimane, ma è un viaggio che si affronta di schiena, distesi su un letto d’acqua che lentamente vi fa scivolare attraverso i venti minuti di durata dell’EP.

Immaginate, una volta fatto partire questo lavoro, di procedere in avanti, a pancia all’aria, circondati da gocce che tutt’intorno vanno ad infrangersi sui materiali più diversi arrivando a creare anche le reazioni più inaspettate.

Il viaggio in questione, incorniciato da questa colonna sonora, diventerà una sorta di rito minimale in cui lasciar dondolare la testa, cullati dalle psichedelie minime, facendo attenzione a non lasciarsi disturbare dalle degenerazioni rumorose (l’iniziale “Cut“). Ci si addentrerà in esplorazioni di caverne oscure, in cui ogni minimo zampillo darà un effetto diverso, nascondendo in ogni suono, un animo completamente nuovo e inaspettato (“Flot“). E se i primi due episodi vi sembreranno un po’ troppo “astratti” e sentirete il bisogno irrefrenabile di qualcosa di più “concreto”, bisognerà solo attendere l’arrivo di “Birth“: in cui graffi e disturbi pulsanti riusciranno, non certo a cuor leggero, a tenervi stretti incollati all’ascolto. Un episodio che darà il via ad una serie di brani pulsanti in cui si possono sentire gli echi della Squadra Omega o di altri colleghi d’etichetta: “Medium” si basa su beat che richiamano sonorità tribali, sempre senza dimenticare il minimalismo ondeggiante e fremente visto in precedenza. Senza dimenticarlo, certo, ma cercando sempre di stravolgerlo: nella finale “Fish” ogni singola goccia d’acqua che cade sulla testa dell’ascoltatore viene frammentata ed infranta in milioni di piccolissimi pezzi, disintegrandosi in rumori sempre nuovi e diversi. Non a caso la parola “toot” in lingua Hindi indica qualcosa che si rompe, e direi che in questo caso mai titolo fu più azzeccato.

Il lavoro finisce – grazie soprattutto a ciò che diventa dalla terza traccia in poi – per essere un’esperienza piacevole e rilassante, sì, ma che sa anche scuotere chi tende l’orecchio. A dimostrazione che il minimalismo, se pensato bene, può valere tanto e sembrare nient’affatto minimo.

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etichetta: Casetta


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