DUOCANE – SUDDITI (2020, Autoproduzione)


È un periodo, questo, in cui ci si ritrova a sentire la mancanza di tante cose. Un periodo in cui, la mancanza di tali cose, fa solo venire voglia di imprecare o, al limite, imbracciare gli strumenti – se e quando se ne ha la possibilità – e buttare fuori tutta la rabbia e le bestemmie al volume più alto possibile.

In questo scenario, “Sudditi” secondo lavoro del duo pugliese Duocane può funzionare più che bene: o come colonna sonora per non impazzire durante chiusure, limitazioni e zone rosse, o – ancora meglio – come vero e proprio manifesto urlato contro un periodo storico davvero assurdo.

I baresi, a mascherine e gel disinfettanti, preferiscono di gran lunga scosse inquiete di basso e batteria, schiantandogli sopra due voci nervose, incazzate, mai fuori luogo: e ve lo sta dicendo uno che il cantato su cose storte, il più delle volte, non riesce proprio a sopportarlo.

L’iniziale Martello è breve ed intensa e mette subito tutte le carte in tavola: il cantato nervoso di cui sopra, un po’ à la Asino, va a disastrarsi su spigoli di basso ed inciampi di batteria facendo da apripista ad una traccia decisamente ammiccante e molto anni novanta: Memorie Dal Sottosuono. Qui si striscia tra il rock alternativo dei migliori Bluvertigo e qualcosa più catchy dei Death From Above 1979, senza disdegnare svisate arty (di viole e violini, presenti anche in altre parti dell’EP) e degenerazioni – nella successiva Vilipendio – che sono come camminate psichedeliche e rumoriste. Suoni diluiti e dettagli ipnotici prendono piede in un brano tra psych e post-rock, si prosegue in crescendo passando per paesaggi stoner e degenerazioni di punk storto, una fede che nemmeno nei momenti più calmi viene accantonata totalmente. Per fortuna. Come dimostrerà definitivamente, di lì a poco, la successiva Peritonite: tocchi harder, anche un po’ blueseggianti, per nervosismi punk, graffi di basso e martellate di batteria. Compagni di merende di gruppi (già passati di qui) come unoauno e Pontecorvo.

Buon Compleanno, Sudo, traccia finale, è un insieme di storie raccontate tra gli spigoli dello strumentale. Un lento scorrere di sudore, disillusioni, vita amara e tanta musica ascoltata, amata ed odiata. Tra urla emocore, lentezze doom, distorsioni stoner per dimostrare con ogni mezzo possibile di esser nati storti ed esserne dannatamente fieri. Tanti piccoli microuniversi musicali, sfogliando le pagine di un diario storto e distorto che quasi mai cala d’intesità.

Riuscire a fare musica usando l’italiano come lingua non è affatto semplice, ma il duo barese riesce a farlo più che bene. E per questo, viva Duocane (anche cambiando qualche vocale, perché no).

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