unoauno – BARAFONDA (2019, Ribéss Records)


Che si possa essere rumorosi e spigolosi come i più marci gruppi noise rock, senza dover usare per forza le chitarre, ormai ce l’hanno dimostrato più e più gruppi e progetti. Alla lista di coloro che l’hanno fatto finora, possiamo aggiungere gli unoauno che, con questo secondo album intitolato Barafonda,rendono omaggio a tanti anni di ascolti, dei più vari e disparati gruppi, con ventitré minuti di puro noise-rock, tendente al post.

L’apertura, di tutto rispetto, è affidata a Autobahre: scarsi due minuti di rock rumoroso all’ennesima potenza. Spigoli, rumori e voce recitante. Senza chitarre. Un po’ Elettrofandango, un po’ Requiem For Paola P. e un po’ anche Il Teatro degli Orrori, ma a questi ultimi non fate tanta attenzione. La ricetta rumorismi + declamazioni vive ancora nella successiva La pietra, in cui ferisce (proprio come una pietra lanciata nel punto giusto) il cantato tagliente.
E col terzo pezzo vi renderete conto che è inutile tentare di fare i fighi ed evitare a tutti i costi di citare i progetti di Giovanni Lindo Ferretti: in Nessuno è impossibile non fare caso all’omaggio reso dal gruppo a CCCP e compagni. Mi taglio una mano se il ripetuto “…e mai niente di nuovo” non ve li ricorda almeno un po’. Stessa cosa capita anche nella successiva Costa adriatica e che capiterà, più avanti, in Balena. Che poi il tutto si mischi al miglior emocore della penisola è un valore aggiunto di sicuro, e un ascoltatore attento apprezzerà senza dubbio.

Per quanto mi riguarda, il gruppo dovrebbe seguire la linea della prima traccia oppure di Panorama, che lo stato d’animo inquieto, agitato ed incazzato gli si addice alla perfezione. È qui che il disco raggiunge la sua vetta più alta.
Si sentono echi di vecchi Marlene Kuntz e addirittura degli Estra in Rivoluzioni, un brano in cui la rabbia di poco fa si perde un po’, si rilassa, si veste di post-rock e cresce piano piano, esplodendo nel finale.

Ascoltando l’album, si ha l’impressione di sentire il rumore di passi pesanti, intenti a calpestare un pavimento fatto di vecchi dischi di musica alternativa italiana. Facendo così in modo che, dal basso, arrivi alle orecchie di chi ascolta questo o quell’altro gruppo, una volta una citazione cinematografica, la volta dopo una suggestione letteraria: come un omaggio gigante agli ascolti adolescenziali, ai film visti negli anni passati, ai libri letti, che hanno formato il gruppo sia come musicisti che scrittori, sia come raccontatori di storie che come persone.

Per me la forza del gruppo si nasconde nelle cose più immediate, come detto. Ma, in conclusione, posso dirvi che tutto l’album non dispiace.

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