KLIPPA KLOPPA – LIBERTY (2019, Snowdonia Dischi)


Vi dirò la verità, i Klippa Kloppa (nonostante il nome m’incuriosisse parecchio e nonostante, soprattutto, la discografia immensa) non li conoscevo chissà quanto, se non per ascolti sparsi qua e là.
Devo però dire che, già dai primi secondi di questo Liberty, album uscito per la cara Snowdonia, ho avuto come l’impressione di rincontrare dei vecchi amici. Un po’ per i toni dell’album, che ad un ascolto superficiale sembrano semplici canzoncine; un po’ perché nell’album in questione si trova tutta o gran parte della storia della musica italiana, dal pop al prog, dal lo-fi alle cose più estreme e sperimentali. Per assurdo, anche se si tratta di due progetti totalmente differenti, il disco dei Klippa Kloppa mi ha ricordato molto l’album di un loro vecchio compagno di etichetta, Magic Crashed e il suo “perché io lo sapevo“. C’è lo stesso planare trasversalmente su decine di band italiane diversissime tra loro, in totale leggerezza.

Quindi, se nell’iniziale Cinghiali si sente tanto l’appena citato Magic Crashed quanto gli Üstmamò, in cui si mischia il pop e il lo-fi, nella successiva Alla Fine Della Giostra, ci si ritroverà ad ascoltare un brano che si inserisce perfettamente in un album prodotto dalla Snowdonia: il giusto equilibrio tra il suonato bene, il risultare orecchiabile (qualcosa nell’aria ricorda addirittura i Tiromancino) e l’indossare abiti arty.

In Bach fa il suo ingresso la voce femminile, che dà tutto un altro sapore ai brani: qui sembra di ascoltare un incontro tra Battiato e i già citati Üstmamò (sarà che la voce di Mariella ricorda tanto quella di Mara Redeghieri) ed è davvero affascinante sentire come la nuova voce non si scompone minimamente, nemmeno quando lo strumentale strizza l’occhio ai miglior chitarrismi prog. Nella successiva Cotidie, si sente qualcosa di Ivan Graziani e si continua a volare, passando sulla testa di questo o quel cantante o musicista del passato.

Continuando, Blast, unico brano strumentale dell’album, sembra spezzare il disco in due parti. Il pezzo in questione, è da applausi: perché non ti aspetteresti una scossa punk del genere (anche questo mi ha ricordato Magic Crashed, un maestro in questo genere di stravolgimenti) che si porterà appresso tutto il resto dell’album.
Si resta sempre sulle sonorità pop, anche un po’ dreamy, in Lyudmila Pavlichenko. Un po’ Offlaga Disco Pax, un po’ CCCP, e sì lo so che non basta solo un titolo dal retrogusto sovietico per citare liberamente i due gruppi che ho appena nominato. Un brano preciso, comunque, proprio come un tiro di chi si omaggia nel titolo del brano.

Se, quando ho detto che Blast si porterà appresso tutto il resto dell’album, vi siete chiesti in che senso, aspettate Il velo di Omero: lo strumentale è più veloce, rispetto ai precedenti, e sembra figlio della musica nata nella quinta traccia. Così come lo sembrerà anche la successiva Incido sull’atmosfera.

Nature Morte porta al suo interno l’incedere di “Cuore Matto” di Little Tony, l’oscillamento dei giovani Albano e Romina di “Felicità” e soprattutto una voce che ti accarezza la pelle, facendoti tremare di brividi, à la Viola Valentino. Detto così, sembra un banalissimo disco pop, e invece, credetemi non lo è. È piuttosto un libro di storia della musica italiana, da sfogliare con piacere di tanto in tanto.

L’outro, Un mondo migliore, è affidato a sonorità piacevolmente degeneranti che lontanamente ricordano gli Adharma (di un pre-Iosonouncane) e di altre cose a marchio Trovarobato.

Un disco che è un ottimo punto di partenza per poter studiare un po’ musica italiana del passato, senza vergognarsi di tendere l’orecchio al pop, di tanto in tanto.

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